Che cos’è e cosa si propone
La Pet Therapy, o meglio definita Terapia o Attività Assistita dagli Animali, è un trattamento che si rivolge a tutte le persone di ogni età che desiderano cercare di migliorare la qualità della loro vita attraverso l’interazione con gli animali. La Pet Therapy non è una cura medica, non è invasiva e non fa miracoli. Semplicemente può venire affiancata ad altre terapie per cercare di migliorare l’esistenza dell’utente nelle condizioni socio-sanitarie già esistenti. Il principio della Pet Therapy si basa generalmente sull’utilizzo del rapporto speciale che si viene a creare tra la persona e l’animale. I contatti che si instaurano tra paziente e animale riescono a facilitare il rapporto con il terapeuta o con chi aiuta il soggetto, rendono la situazione meno stressante, facilitano il movimento e il dialogo. Un grande aiuto a questo lo porta anche il fatto di trovarsi in un ambiente demedicalizzato: stare in mezzo alla natura, all’aria aperta, nell’habitat naturale degli animali con i suoi colori e profumi dà sicuramente una spinta in più, una motivazione maggiore a fare qualcosa che altrimenti sarebbe solo un esercizio senza fine e senza scopo.
Su cosa si basa
L’utilizzo degli animali come “guaritori” si può far risalire anche all’epoca avanti Cristo. Le leggende greche dicono che chi aveva perso la vista andava dal dio greco Asclepio, protettore della medicina, a farsi leccare gli occhi dai suoi cani che si diceva avessero un potere guaritore. Ancora oggi un proverbio francese dice: “La lingua del cane serve alla medicina”. Nel IX°secolo a Gheel, in Belgio, fu attuato il primo tentativo terapeutico per curare dei disabili grazie agli animali. Ma il primo studio realmente accertato risale al 1792, quando lo psicologo infantile William Tuke cominciò a curare i suoi piccoli pazienti utilizzando degli animali di piccola taglia come conigli e gallinacei. Secondo Tuke le persone mentalmente disturbate potevano ritrovare autocontrollo ed equilibrio attraverso il giardinaggio e la cura di questi piccoli animali. Nel 1859 Florence Nightngate utilizzò animali di piccola taglia per dare un po’ di svago ai malati cronici e notò che accudire gli animali portava ad avere anche un po’ più di cura verso se stessi. In Germania, 1867, venne fondato il Bethel Hospital in cui gli animali erano parte integrante nel trattamento di recupero per epilettici. Venne addirittura costruita la prima fattoria interna al centro che ospitava cani, gatti, cavalli e animali da allevamento. Nel 1875 un medico francese, Chessigne, utilizzò il cavallo con pazienti che avevano problemi neurologici sostenendo che era molto utile per l’equilibrio e il controllo posturale. (Fossati, 2003:12). Negli Stati Uniti d’America uno dei primi casi di applicazione della “animal assisted therapy” avvenne nel 1942. La Croce Rossa utilizzò gli animali con soldati che avevano riportato gravi danni fisici ed emotivi e stati di shock durante la seconda Guerra Mondiale. I pazienti venivano incoraggiati a interagire con bestiame da fattoria ritenendo che questo potesse normalizzare il loro stato psichico. Nel 1953 Boris Levinson, psicoterapeuta infantile, scoprì fortuitamente il benefico effetto che aveva la compagnia di un cane su un bambino autistico. Inizieranno da qui le prime ricerche sugli effetti degli animali da compagnia in campo psichiatrico. Levinson nel suo libro The Dog As Co-Therapist utilizzò per la prima volta il termine Pet Therapy, in cui enunciò le prime teorie verificabili. Nel 1966 in Norvegia i coniugi Stordahl fondarono un centro di recupero per non vedenti dove utilizzavano cani e cavalli. Il centro è tuttora funzionante. Nel 1970 un ospedale psichiatrico infantile nel Michigan (USA) utilizzò un cane come aiuto mentale per i bambini ricoverati. Condoret, un veterinario francese, nel 1973 applicò la terapia con gli animali a bambini con gravi difficoltà di linguaggio e comunicazione. Nel 1975 i coniugi Corson aderirono alle teorie di Levinson e le applicarono a pazienti adulti con disturbi mentali elaborando la “pet facilited therapy”. Erika Friedmann effettuò studi su persone con problemi cardiaci a partire dal 1977 e scoprì che c’era una correlazione positiva tra la sopravvivenza di una persona che aveva avuto problemi di questo tipo e il possesso di un animale. Chi soffriva ad esempio di ipertensione e aveva avuto infarti ma possedeva un animale da compagnia, sopravviveva di più di chi a pari condizioni non aveva un “pet”, ossia un animale da affezione . (Del Negro, 1998:13). Nel 1981 a Washington venne creata la Delta Society, un’associazione che studia gli effetti dell’interazione degli animali da compagnia sull’uomo. In Italia la Pet Therapy arriva nel 1987 al convegno “Il ruolo dell’animale nella società odierna” tenutosi a Milano il 6 dicembre. Nel 1995 l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” partecipa al convegno di Ginevra sulle interazioni tra uomo ed animale. Nel 1996 organizza il seminario “La Pet Therapy: gli animali e la salute dell’uomo” tenuto da Tennis Turner, uno dei maggiori esperti nel campo in Europa. Nel 1996 viene anche inserito un programma di terapia con gli animali presso la Fondazione Robert Hollman (Verbania), un centro di intervento precoce per bambini con deficit visivo. Nello stesso anno a Padova viene creato il progetto “La fattoria in ospedale”: nelle corsie degli ospedali vengono portati alcuni animali per rallegrare l’ambiente. (Del Negro, 1998:14) Da questo momento l’interesse aumenta e in varie parti di Italia vengono organizzati convegni, tra di loro uno dei più importanti riguardanti la valenza educativa sono quelli organizzati ogni anno dalla Cattedra di Pedagogia Speciale del Prof. Chade a Bologna. Oggi sono tantissime le attività che vengono offerte e i corsi e convegni che vengono pubblicizzati. Alcune di queste proposte le ritengo molto valide sebbene siano solo piccoli aiuti per persone che hanno gravi disabilità e sono quelle offerte dall’AIASPORT di San Lazzaro (Bologna) e dalla Fattoria del Parco di Gorzano (Modena). I pionieri della Pet Therapy rimangono comunque fondamentalmente tre: Levinson, Corson e Friedmann di cui si parla più approfonditamente nei paragrafi seguenti.
Come viene applicato
Dalla semplice interazione uomo-animale che può avvenire per caso in un giardino, alla più complessa e metodica terapia per mezzo degli animali, i benefici che grandi e bambini possono trarre da questo incontro sono veramente tanti. Divertimento: come minimo, la presenza di un animale o più che giocano magari in modo buffo, non può che far piacere e ridere e quindi intrattenere non solo chi vive a contatto con gli animali ma anche chi non ha molte occasioni per incontrarli. Socializzazione: l’animale riesce a portare dialogo. La presenza di un cucciolo scioglie anche gli animi più duri e la conversazione anche con gli estranei diventa molto più facile. Non solo in presenza dell’animale ma anche dopo la comunicazione rimane più attiva e può portare alla socializzazione con persone che non si conoscevano. L’animale fa da catalizzatore. Stimolazione mentale: soprattutto in situazioni in cui c’è una istituzionalizzazione e quindi una certa chiusura verso l’esterno, la presenza di animali può servire a cambiare un po’ la routine, a rasserenare l’ambiente e a stimolare il dialogo e qualche azione che solitamente non si fa. Empatia: la capacità di identificarsi con l’altro può essere insegnata al bambino più facilmente se in casa è presente un cagnolino. Imparare a capire un animale domestico è molto più semplice che imparare a comprendere una persona perché questa al contrario di un cane può dire una cosa ma pensarne un’altra. Il bambino vede l’animale come un suo pari e quindi è più facile insegnargli ad essere empatico con lui piuttosto che con un estraneo. Crescendo sarà poi in grado di trasferire questa sua capacità anche sui suoi simili. Focalizzare l’attenzione all’esterno: un animale è molto utile per far uscire un bambino dal suo egocentrismo o per una persona che comunque non riesce a non parlare che di se stessa. Le esigenze e l’ambiente del cucciolo riescono a distrarre il padrone dai suoi soliti pensieri e farlo concentrare sull’esterno, su qualcosa che non è lui, parlando finalmente di problemi non suoi. Prendersi cura di un altro essere vivente: spesso molti bambini si sentono onnipotenti; un animaletto da accudire può renderli consapevoli di quanto questo abbia bisogno di cure per sopravvivere, e quindi di conseguenza può far capire quanto a sua volta può aver bisogno di aiuto per crescere. Relazione: un animale può aprire un canale di comunicazione e relazione tra due persone, ad esempio tra terapista e paziente, rompendo il ghiaccio e creando un ponte tra i due. Chi ha bisogno di aiuto spesso non riesce a chiederlo direttamente e la presenza di un animale su cui proiettare i propri sentimenti è risultato spesso molto utile. Accettazione: dall’animale si può imparare ad accettare l’altro per come è, senza critiche e pregiudizi. Esso infatti non accetta un rapporto per convenienza, come spesso fa l’uomo, e di riflesso il bambino può imparare a fare altrettanto. Contatto fisico: ci sono casi in cui sia bambini che adulti non sopportano il contatto fisico con le altre persone, vuoi che sia per disturbi psicologici o violenze subite. Poter abbracciare e accarezzare un cane o un gatto può significare molto per queste persone e potrebbe essere il primo passo per ricominciare ad avere contatti con gli altri. Movimento: chi ha a che fare con un cane inevitabilmente è costretto a un minimo di movimento per assecondare le sue esigenze. Questo non può fare che bene soprattutto a chi di solito non si muove mai. Benefici fisiologici: accarezzare un animale che dorme o che è tranquillo porta al rilassamento e alla riduzione di stress.
Chi lo pratica, in quali contesti
Per quanto riguarda le A.A.A. accanto a un esperto in questo settore, che in Italia viene formato dall’Istituto Zooprofilattico dell’Abruzzo e del Molise, operano prevalentemente volontari che abbiano una buona conoscenza degli animali e della patologie con cui si va a lavorare. Indispensabile è sempre il veterinario che deve assicurare la buona salute fisica e psicologica dell’animale e intervenire per prevenire un suo eventuale stress. Le A.A.T. invece, avendo scopi di riabilitazione e rieducazione sia fisici che psicologici, si avvalgono di esperti in vari settori a seconda dell’animale, dell’attività che si va a svolgere e soprattutto dell’utenza a cui si rivolgono. A parte l’esperto in terapie e attività assistite dagli animali e il veterinario di cui si è già parlato, è necessario uno specialista in comportamento animale che possa capire e prevedere tutti i movimenti di quest’ultimo per salvaguardare la sicurezza dell’utente. Per quanto riguarda in particolare il cane è molto utile anche un addestratore. È indispensabile poi che ci siano anche un pedagogista e un medico a seguire l’attività, che a seconda del paziente sarà uno psicologo o un fisioterapista. Molto spesso queste figure sono tutte indispensabili per riuscire a tracciare un quadro completo della situazione dell’utente, per programmare al meglio la sua attività e verificare in itinere che tutto proceda bene. È importantissimo ricordare infatti che i bisogni di una persona cambiano a seconda dell’età, della condizione in cui si trovano e delle esperienze che fanno e quindi il piano di lavoro deve essere cambiato a seconda delle sue esigenze. Se tutte le figure professionali coinvolte non collaborassero per modificare repentinamente ciò che non funziona ci sarebbe il rischio non solo di non aiutare l’utente a fare miglioramenti ma persino di fare danni. Il lavoro d’equipe è necessario quindi per far si che grazie ai punti di vista diversi degli specialisti e al continuo dialogo tra loro si abbia sempre una situazione ben programmata sia per gli animali che per gli utenti. Si è visto che la Pet Therapy può avere molte finalità a seconda di chi è l’utente. Le Attività con gli animali infatti possono essere progettate in molti luoghi “sociali” come le scuole, gli ospedali e i carceri, luoghi insomma in cui non si è mai da soli ma la solitudine spesso regna, luoghi in cui si cresce, dove bisogna imparare a relazionarsi con gli altri o ri-imparare, in cui bisogna acquisire e seguire regole, luoghi in cui si soffre, fisicamente o psicologicamente.
Scuole
All’interno di una scuola la Pet therapy può servire per vari scopi: la presenza di un animale aiuta tutti i bambini, normodotati e non, a imparare a relazionarsi con gli altri; offre uno spunto per nuove conoscenze perché diventa un pretesto per l’apprendimento di nozioni di storia, geografia, fisiologia, protezione della natura, ecc; stimola la conversazione; rilassa, responsabilizza, da regole di vita quotidiana; stimola la produzione del linguaggio; coinvolge anche chi ha più problemi (fisici, psicologici o comportamentali che siano) e quindi integra nel gruppo. Gli obiettivi possono essere quindi quelli di cominciare a far maturare i bambini per quanto riguarda l’assunzione di regole e responsabilità; di aiutare a conoscere nuovi vocaboli e migliorare l’esposizione linguistica; di imparare a relazionarsi in modo adeguato con gli altri e dare motivi per nuovi interessi. Per soggetti iperattivi e con deficit d’attenzione, la presenza di un animale in classe può attirare la loro attenzione inducendoli a intervenire nella discussione e a motivarli nell’esposizione scritta e orale. Nei casi in cui gli animali siano residenti nelle scuole, è possibile fare progetti molto interessanti che diano la possibilità ai bambini di vedere un ciclo vitale completo (ad esempio di un coniglio) e di intervenire attivamente nella gestione del recinto, mangiatoia e cura dell’animale. L’animale attraverso il gioco aiuta i bambini nei momenti più difficili della crescita, perché stimola il senso di responsabilità, aiuta l’acquisizione spontanea di conoscenze e crea un canale immediato per la socializzazione. Per quanto riguarda il concetto di cura e responsabilizzazione è molto bello il passo in cui Lorenz dice: “Quel batuffolo morbido e tondo ha certamente risvegliato, già nella figlia dell’uomo della prima età della pietra, l’impulso a prenderlo in braccio, a coccolarlo e a trascinarlo continuamente in giro con sé, non altrimenti di quanto accade a una bimba dei nostri giorni. Gli impulsi materni da cui nascono tali gesti sono infatti antichi come il mondo. E così la bimba dell’età della pietra, imitando all’inizio come per gioco ciò che ha visto fare dalle donne adulte, gli ha dato da mangiare, e l’avidità con cui la bestiola si è gettata sul cibo che le veniva offerto l’ha resa felice, come sono felici le nostre mogli e madri quando gli ospiti mostrano di gradire il loro cibo.”(Lorenz, 1994: 21). L’animale poi non giudica come potrebbero fare genitori e insegnanti, quindi non inibisce, permettendo al bambino di esprimersi liberamente: a volte un ragazzino riesce a sfogarsi e a fare confidenze solo al suo cane, facendolo diventare il suo personale psicologo. “E’ universalmente riconosciuto che le qualità indispensabili per un buon psicologo sono sincerità, onestà, doti di empatia, capacità di sospendere il giudizio, di ascoltare e di non parlare troppo, e discrezione assoluta…le medesime doti che un padrone ama in un cane o in altri animali da compagnia. È come se queste creature fornissero, senza tante storie, un servizio di consulenza psicologica, senza che nessun altro ne sappia niente.”(Sheldrake, 2001: 95).
Istituti e scuole
I bambini che vivono e studiano in istituti, spesso non hanno certo avuto un’infanzia serena e piacevole: il più delle volte sono figli di carcerati, tossicodipendenti, persone non autosufficienti o violente, o di persone che non li hanno accettati perché disabili. Un bambino ha un grandissimo bisogno d’affetto, di calore e di contatto fisico con la madre per crescere bene, e molto probabilmente chi vive in queste scuole residenziali non ha avuto niente di tutto ciò. Un cane può colmare questi vuoti donando il suo affetto al bambino e diventando il suo confidente. Si è visto come sia più facile sfogarsi con il proprio amico a quattro zampe, che non giudica e ci ama per quello che siamo. I bambini istituzionalizzati generalmente non amano il contatto con le persone, probabilmente per un passato vissuto nella violenza fisica o psicologica; non si fidano più di nessuno e non riescono ad avvicinarsi sia fisicamente che mentalmente a chi li circonda. Un animale è molto utile in questi casi perché non chiede niente al bambino, non vuole niente in cambio, non può mentire e quindi è molto più semplice instaurare un rapporto con esso: la carezza fa bene e piacere ad entrambi, non ci sono secondi fini e il bambino può ricominciare a fidarsi di qualcuno. Spesso i ragazzi degli istituti, dopo un’infanzia burrascosa, diventano tristi, depressi, chiusi in loro stessi; non hanno più stima di sé, hanno mille paure e diventano violenti con il resto del mondo. Non hanno nessuno da amare e che li ami: un animale può diventare l’essere da amare, curare e proteggere. Un animale può ridare il sorriso, rilassare e portare l’attenzione su di sé aiutando i bambini a relazionarsi con gli altri e a uscire dal guscio che si sono creati per la paura di soffrire ancora.
Case di riposo per anziani
Quando una persona anziana comincia a sentirsi inutile per la sua famiglia o addirittura viene “abbandonata” in una casa di riposo perché troppo difficoltosa da gestire, allora comincia il suo vero declino, in quanto rimane sola, cioè senza l’affetto dei famigliari, non ha più nessuno di cui occuparsi, non è più stimolata a darsi da fare perché “servita” tutto il giorno, perde interesse per ciò che la circonda perché non si sente più un soggetto attivo. All’interno di una casa di riposo il gruppo sociale è chiuso, non ci sono più argomenti per cui valga la pena di discutere, non vengono date responsabilità agli anziani, che quindi si sentono inutili, e soprattutto non ci sono nuovi stimoli. “In un simile quadro l’animale diventa il compagno ideale per l’anziano attraverso diversi meccanismi, soprattutto psicologici ed emozionali, come i fenomeni di sostituzione e di compensazione.”(Ballarini, 1995: 160). L’anziano infatti, entrando in una casa di riposo, non ha più il dovere di occuparsi di una famiglia. Poter prendersi cura di un animale da compagnia è quindi molto importante perché ripristina almeno in modo simbolico il sentimento di cura e di protezione che l’anziano aveva perso con il distacco dalla parentela. Un animale poi riempie i tempi morti, che in una struttura del genere sono tanti; spezza quindi la monotonia e porta nuovi argomenti di dialogo tra paziente e operatori ma anche tra gli anziani stessi. L’integrazione tra gli utenti della casa viene resa così più facile e il bisogno di comunicare e di raccontare che hanno gli anziani, soddisfatto. La presenza di un animale può stimolare anche tanti ricordi lontani, aiutando così la memoria a tenersi allenata. Infine un cane è il mezzo migliore per non lasciare che il corpo invecchi troppo in fretta: i suoi bisogni vanno soddisfatti e quindi il padrone si dovrà per forza lasciar trascinare all’aria aperta tutti i giorni per una breve passeggiata. Elide Del Negro insiste sul fatto che essere anziano non significa essere diverso, ma solo “cambiato” e che il benessere di una persona va mantenuto, qualsiasi età questa abbia. “Il benessere possibile dell’anziano, la sua salute in senso lato, passano anche attraverso il rispetto del desiderio di occupare spazi in cui la decisionalità personale e la crescita cognitiva continuano a essere esercitate…importante è inserire l’invecchiamento nella cultura come processo fisiologico e non patologico…creare condizioni in cui il benessere sia mantenuto il più a lungo possibile e al livello più alto possibile. Occorre inoltre trovare strumenti per mezzo dei quali sia possibile recuperare il benessere perso o compromesso.”(Del Negro, 1998: 84). La Pet Therapy può essere uno di questi strumenti.
Ospedali
All’interno degli ospedali si trovano varie tipologie di utenza: si va dai bambini del reparto pediatrico a chi deve subire un intervento, da persone anziane a malati di AIDS, da chi è in un reparto di oncologia a chi è lì solo per una convalescenza. La presenza di un animale allegro e buffo in ospedale può ridare un po’ di buonumore a tutte queste persone. Ci sono alcune cliniche che acconsentono a che il padrone possa riabbracciare il suo cane anche all’interno della camera ospedaliera, per ricominciare a sentire così “l’aria di casa” e non perdere l’energia necessaria per superare ad esempio un difficile intervento. Si sa infatti che una lunga degenza dopo un’importante operazione chirurgica, può essere la causa scatenante di una depressione: essere stati in pericolo di vita e passare mesi chiusi in una clinica, può far perdere le speranze di tornare alla normalità anche a chi solitamente è molto forte di spirito. La partecipazione di alcuni animali alla vita quotidiana dei pazienti, può servire a risollevare il morale, a mantenere vivi gli interessi, a favorire il dialogo e accendere la motivazione. Per chi sa che la vita dopo l’ospedale sarà molto dura, la compagnia di un cane che lo fa ridere può almeno distrarlo e fargli passare dei momenti felici lontani dalle preoccupazioni quotidiane. Per chi non crede più alla guarigione, il fatto di riuscire a prendersi cura di un animale può significare un nuovo inizio: ricominciare a camminare per far passeggiare il cane ad esempio, da una motivazione in più a chi aveva perso le speranze di poter di nuovo uscire all’aria aperta. Alcuni ospedali hanno anche attrezzato alcune zone per far si che un gruppetto di animali possa far visita ai pazienti. Questi progetti riguardano solitamente i bambini, che sono sicuramente i più deboli per quanto riguarda l’aspetto psicologico dell’allontanamento dalla famiglia e della sofferenza. Un bambino che sta male, che viene portato via da casa e dagli affetti per essere rinchiuso in un ospedale, non ha la capacità di comprendere il perché di quello spostamento e di quel dolore che può avere un adulto. La sofferenza quindi raddoppia. La compagnia di un animale o ancor meglio del suo amico a quattro zampe, lo può aiutare a sorridere, a dimenticarsi per un po’ del posto in cui è e a desiderare ancor di più la guarigione e il ritorno a casa senza perdersi d’animo.
Carceri
Il detenuto de “Il Miglio Verde” o ancor prima di “Fuga da Alcatraz” si era affezionato in modo totale a un piccolo topolino al punto di dormire con lui, di dividere il cibo con lui, di raccontargli della sua vita. Come mai tanto affetto? Cosa manca all’interno di una prigione? Innanzitutto il tempo non passa mai e così regnano la noia e la monotonia. La comunicazione è molto carente soprattutto con il personale, perché manca la fiducia, ma un essere umano ha bisogno di comunicare, di raccontare, di esprimere ciò che sente. Non ci sono legami affettivi perché chi aveva una famiglia nella maggior parte dei casi la perde per sempre, o comunque i rapporti non rimangono stabili nel tempo. Spesso la depressione colpisce i carcerati perché il senso di colpa, quello di inutilità, e il pensiero di non poter redimersi si impossessa di loro. “In un simile contesto la solitudine, la depressione, l’assenza di autostima sono sentimenti che prendono facilmente il sopravvento e prolungano la condanna oltre i suoi limiti temporali, causando difficoltà per il reinserimento nella società.”(Ballarini, 1995: 168). La presenza di animali all’interno di questo contesto può servire a sopperire ad alcune di queste mancanze perché essi costituiscono un “passatempo”, un modo per sentirsi impegnati, un argomento di dialogo e quindi di relazione positiva con gli altri, un legame affettivo, un motivo di orgoglio e quindi di immagine positiva. Inoltre, dare un animale da crescere e curare a un detenuto, può significare anche credere in lui, dargli motivo di sentirsi responsabile, capace di prendersi cura di un essere vivente, e quindi degno di fiducia. Ballarini nel suo libro Animali amici della salute, cita l’esperienza di un carcere americano (anni ’70) in cui i risultati della presenza di animali furono molto positivi: la comunicazione e l’interazione aumentarono, l’immagine che i detenuti avevano di sé migliorò e migliorò anche agli occhi della società, vennero usati meno farmaci, la depressione e l’aggressività calarono e così anche i tentativi di suicidio. In alcuni carceri minorili sono stati fatti progetti molto interessanti che coinvolgono gli animali: accanto all’accudimento di un animale, sono stati proposti corsi di vario genere, tra cui anche alcuni riguardanti ad esempio l’allevamento e l’addestramento dei cani, dato che in questi luoghi sono presenti adolescenti che dovranno cercarsi un lavoro quando usciranno. In questo modo i ragazzi possono cominciare a inserirsi nel mondo del lavoro in modo positivo. Si sa infatti che spesso questi adolescenti, che hanno alle spalle storie “pesanti”, riescono ad affrontare il mondo solo con la violenza e l’aggressività. Il contatto con un “pet” invece li può aiutare a maturare un senso di cooperazione e di integrazione sociale. “Chi si è occupato di un animale che dipendeva da lui si rende meglio conto dell’effetto distruttivo della propria forza, proprio perché si è trovato a considerare la scelta di danneggiare o difendere il proprio animale. Dove non c’è patologia psicotica il danno a un oggetto d’amore procura sofferenza perché c’è maggiore consapevolezza razionale ed emotiva circa il significato e le conseguenze positive o negative delle proprie azioni. Picchiare un cane a cui siamo legati può produrre un senso di colpa e di distruzione di un essere amato che sviluppa il senso sociale e la sensibilità nei confronti degli altri esseri viventi.”(Del Negro, 1998: 97).
Centri di riabilitazione sociale
La Pet Therapy è molto utile in tutti i casi in cui c’è la necessità di una forte spinta alla socializzazione, e quindi anche nel trattamento della tossicodipendenza. La relazione con un animale apre un canale di comunicazione, responsabilizza, aumenta l’autostima. Tutte cose necessarie a chi ha bisogno di “curarsi l’anima”. Gli animali e la natura, con il loro linguaggio non verbale ma universale, sono protagonisti. Incontrarli e capirli fa capire cosa significa vivere. I ragazzi che arrivano ad un centro di riabilitazione, per quanto distrutti psicologicamente e spesso violenti verso il mondo e gli altri, hanno comunque dei valori e una grande sensibilità nascosta sotto il dolore, che si tenta di far tornare allo scoperto affidandogli un animaletto: di fronte a un cucciolo che piange per la fame, si ribalta perché ancora non ha equilibrio, e gioca felice con tutto ciò che trova, il ragazzo può riuscire a instaurare un rapporto nuovo con lui, un linguaggio che non aveva mai usato, perché il cane è sincero, non vuole niente in cambio dell’amore, ascolta senza giudicare e non tradisce mai. Quando un ragazzo entra in Comunità viene affiancato a un cucciolo di cui da quel momento in poi si prenderà cura: dovrà dargli da mangiare, curarlo, portarlo a spasso…vivere con lui. I ragazzi della Comunità hanno così modo di incontrarsi e parlare dei loro cani, scoprendo che ogni animale è diverso e ha bisogno di esigenze particolari. “Questa situazione costringe ogni persona a imparare a leggere le differenze che ha intorno, a soddisfarle sapendo ascoltare e riconoscere richieste sempre differenti. E, cosa più importante, tutte queste esigenze sfuggono a qualsiasi gerarchia sociale e si presentano invece semplicemente come il bisogno di qualcuno che vive insieme a te, al tuo fianco.”(Proietti, 2005: 116). I ragazzi in questo modo imparano a cooperare, a lavorare insieme e non uno contro l’altro, per il bene di tutti; possono così capire che anche ogni persona è diversa, portatrice di un valore unico, e che per questo va accettata così com’è. L’affetto che il ragazzo finisce col provare per il suo amico a quattro zampe, lo porta ad ascoltare tutti i suoi bisogni, a cercare di soddisfarli e a rispettarlo. Si impara così che anche gli uomini sono tutti diversi ma uguali, e hanno bisogno di essere capiti e rispettati. Questo concetto piano piano viene poi trasferito su se stessi: se ogni essere vivente ha il diritto di essere curato, amato e rispettato, anche io devo amarmi e smettere di farmi del male.
Centri per disabili
L’Attività Assistita degli Animali negli ultimi anni è stata sempre più introdotta nel lavoro con le persone disabili per tentare una nuova strada al dialogo e alla relazione con essi. Le attività e le modalità di applicazione di Pet Therapy in questo caso sono molto diverse a seconda dell’utenza: ci si può infatti trovare di fronte a persone che non hanno la possibilità di muoversi, di parlare, nemmeno di farsi capire, oppure a persone con un lieve ritardo mentale, oppure ancora a ragazzi autistici. Ognuna di queste persone ha delle abilità che devono essere continuamente sollecitate per non essere perse, dei bisogni, degli interessi e dei desideri da cercare di soddisfare. Le attività proposte devono essere quindi calibrate a seconda delle necessità che ogni persona ha in un determinato momento. La Dott.ssa Maria Laura Tabacchi ha detto: “Ciò significa che, a prescindere dalla patologia che una persona ha, esistono dei bisogni evolutivi che sono non necessariamente quelli della patologia, per cui non necessariamente un soggetto perché è spastico ha bisogno, in un dato momento della sua vita, di fare terapia neuromotoria; può darsi invece che questa persona abbia bisogno di trovare un piacere nel corpo, o di acquistare un senso di efficacia nell’affrontare il mondo esterno, o di condividere delle esperienze con altre persone, ecc.”(Tabacchi, 2004). Per chi ha bisogno di rafforzare le proprie abilità, le A.A.A. possono essere molto utili in quanto il lavoro con l’animale, ma anche tutto quello che sta attorno all’animale che va dalla sua cura, all’alimentazione, stimola le proprie capacità in modo sereno e senza forzature. Un obiettivo delle attività infatti può essere quello di far nascere autonomia e autodeterminazione nella persona disabile, favorendo il suo sviluppo personale. Per chi invece non può comunicare ed è impossibilitato a esercitare molte funzioni vitali, la Pet Therapy può aiutare a passare qualche ora in una situazione molto serena, perché il contatto con il pelo morbido di un cane che si lascia accarezzare con piacere, aiuta il rilassamento dei muscoli, da un conforto tattile e quindi emozioni intense e forse nuove per chi non riesce a relazionarsi con gli altri senza che il pregiudizio faccia da padrone. Le attività con gli animali possono anche ridare autostima alle persone disabili perché danno la possibilità di sentirsi utili e capaci di prendersi cura di un animale, e dare un rimando positivo agli occhi della gente che spesso non le nota o non le vuole notare. Un rapporto sereno con un animale poi, può anche aprire una nuova via di comunicazione tra utente e operatore: attraverso la relazione con il cane ad esempio, la persona disabile può riuscire finalmente a comunicare qualcosa che non era mai riuscito ad esternare. Infatti lo stato di grave handicap spesso induce all’isolamento a causa delle grandissime difficoltà di comunicazione, e può portare a un peggioramento della relazione nel caso in cui la persona disabile venga disabituata a interagire perché ritenuta non capace. In casi simili infatti, il disabile tende a diventare apatico perché non coinvolto, perde interesse e non investe più neanche il minimo di energia che possiede. “Il nostro compito è quello di scoprire invece tutto ciò che il disabile è in grado di fare, al di là della diagnosi, imparando ad osservare e non a prevedere o immaginare, quelle che possono essere le aree “funzionanti”, favorendo il loro sviluppo e potenziamento.”(Del Negro, 2004: 117). Elide Del Negro, che lavora presso il Centro Riabilitativo di Intervento Precoce Fondazione Robert Hollman (Vb), ha messo a punto un metodo di Pet Therapy per disabili che si basa su un presupposto secondo lei fondamentale per la motivazione a partecipare a queste attività: un ambiente stimolante, naturale, non medicalizzato, pieno di colori, profumi e suoni che attirino l’attenzione, invitino e coinvolgano. Del Negro dice: “Troppo spesso alla nascita di un bambino handicappato o quando si scopre l’insorgere di una patologia neuromotoria si tende a dimenticare che, al di là di questi deficit, ci troviamo prima di tutto di fronte ad un individuo con particolari necessità e desideri che al di là della patologia resta soprattutto una persona. I giochi e le scoperte che siamo soliti fare con le persone normodotate vengono dimenticati quando si interagisce con un disabile.”(Del Negro, 2004: 109). Secondo Del Negro quindi i giochi preconfezionati fatti di semplici cubetti da incastrare l’uno nell’altro non hanno alcuna utilità perché non hanno un senso nella vita quotidiana, non insegnano niente di utile e soprattutto non stimolano i sensi e la fantasia di questi bambini che più di altri avrebbero invece ne avrebbero bisogno. Presso la Fondazione Hollman infatti, lei predilige materiali naturali come sassi, piante aromatiche, foglie, pigne, semi, paglia, ecc.. Questi materiali offrono molti più stimoli e stuzzicano la curiosità perché hanno tutti dei profumi, dei colori e delle superfici molto diverse tra loro. È per questo che Del Negro preferisce le attività all’aria aperta con gli animali, immerse nella natura e nel loro ambiente naturale. Anche “La Fattoria Del Parco”, che è nata nelle colline vicino a Maranello (Mo), offre la possibilità di fare Attività Assistite dagli Animali in un ambiente naturale, molto stimolante, che coinvolge tutti gli utenti nella gestione di animali da fattoria come conigli, caprette, asini e maialini nani.
A chi è stato rivolto
E’ rivolto a tutte le persone, in situazione di handicap e non. Bisogna però agire con professionalità e criterio. Bisogna evitare che la “pet therapy” sia solo un business. E’ molto importante per ridurre l’ansia e lo stress. Nei casi di deficit sono indicate diversi tipi d’interazione con l’animale assecondo la tipologia e la gravità del deficit. Nell’anziano la pet aiuta a ridurre la solitudine e stimola il prendersi cura di…E’ stato comprovato che gli anziani che hanno un animale domestico a casa hanno meno ricoveri di coloro che non ce l’hanno. In educazione la pet è trasversale a tutti gli insegnamenti. Gli animali utilizzati nei programmi di Pet Therapy sono diversi e diversi sono gli obiettivi da raggiungere a seconda che si parli di Attività o di Terapia. È già stato detto che per quanto riguarda le A.A.A. le finalità sono principalmente di educazione, motivazione e ricreazione per un miglioramento della qualità della vita della persona. Le finalità dei programmi di A.A.T. sono più specifiche ma spesso alcuni risultati per questi intenti vengono raggiunti anche con le sole Attività.
Gli obiettivi sono i seguenti:
• Area psicologica-educativa: trattamento nei bambini di disturbi comportamentali quali cattiva o insufficiente socializzazione, inadeguato rendimento scolastico, insicurezza; ampliamento del vocabolario; potenziamento della memoria; miglioramento della conoscenza di alcuni concetti; riduzione dell’aggressività in situazioni come prigioni e luoghi di detenzione; stimolazione del desiderio di essere partecipe ad una attività e di incrementare le interazioni con gli altri.
• Area psichiatrica: riduzione del senso di solitudine e dell’ansia; incremento dell’autostima; incremento delle capacità di attenzione e di relazione; trattamento e prevenzione di sindromi depressive e di deprivazione.
• Area medica: recupero di cardiopatici; cura per ipertensione e malattie croniche; trattamento nelle convalescenze.
• Area motorio-riabilitativa: miglioramento delle abilità motorie, delle condizioni di equilibrio, del tono della muscolatura e di altri problemi fisici dovuti a deficit esistenti dalla nascita o nati in seguito a incidenti o malattie.
Per quale fascia d’età
Indicato per tutte l’età
A cura di José Jorge Chade, Professore Ufficiale, Cattedra di Pedagogia Speciale, Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna
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